Basilisco della Sala capitolare della Cattedrale di Saint-Lazare

Provate a osservare una volta in più la facciata della vecchia cattedrale […] esaminate una volta di più quegli orridi demoni, i mostri informi, le statue austere, rigide, la loro anatomia approssimativa, ma non ridetene perché sono l’espressione della vita e della libertà di ogni operaio che ha scalpellato la pietra; una libertà di pensiero, un gradino nella scala dell’essere […]

Una libertà il cui raggiungimento da parte dei suoi figli deve essere lo scopo primario di tutta l’Europa moderna.

(John Ruskin, 1850)

Nel 1851 Londra si apprestava a celebrare la grande industria in una esposizione a carattere universale, conosciuta sotto il nome ufficiale di “Great Exhibition of the Works of Industry of all Nations”. Fortemente voluta e promossa dal principe Alberto, consorte della regina Vittoria, l’esposizione fu terreno di protesta per quanti ponevano aspra critica ad un sistema economico basato su di una mano d’opera «sfruttata come combustibile, per alimentare il fumo delle fabbriche». Tra questi si levavano le critiche di letterati e studenti, come nel caso degli iscritti alla Royal Academy of Arts di Londra.

Come scrive Franco Bernabei:

Ciò significa esemplarmente la rottura del ‘compromesso vittoriano’, secondo la notissima formula di Chesterton: cioè di quell’alleanza fra cultura e potere economico, che negli anni trionfali della rivoluzione industriale avevano accomodato le cose ottimisticamente e positivamente, come se quei problemi non esistessero.

La critica sociale di John Ruskin ad un sistema sempre più orientato alla ‘frammentazione’ dell’individuo nella catena di montaggio era stata già promossa e diffusa in tutta Europa con il testo dal titolo evocativo “Unto this last”, a cui si erano affiancate diverse pubblicazioni portatrici dell’«estremo messaggio dell’utopia sociale ruskiniana». Tuttavia, la stessa si fa ancor più incisiva e sottile in “La natura del Gotico”: prezioso sesto capitolo del secondo volume del trattato “Pietre di Venezia”.

Ruskin si appella all’architettura del passato, alla sublime ‘selvatichezza’ dello stile gotico, a quell’arte decorativa secondo cui «non esiste inferiorità esecutiva», per rivendicare l’unicità di ogni uomo all’interno del tessuto sociale e lavorativo.

 Capitello con figure mostruose della Collegiata di Saint Pierre

Capitello con figure mostruose della Collegiata di Saint Pierre, a Chauvigny

Il carattere gotico

[…] ammiriamo il modo in cui l’uomo dà espressione al proprio riposo nello statuto del paese che gli ha dato i natali. Osserviamolo con riverenza mentre colloca fianco a fianco le gemme splendenti, addolcisce con soavi sculture le colonne che riflettono i raggi di un sole eternamente luminoso in un cielo senza nubi […] ammiriamolo e non con minore riverenza stiamogli vicino quando, con forza rude e colpi impazienti, sbozza una vite selvaggia dalle rocce che ha strappato agli acquitrini della brughiera.

[…] questa selvatichezza di pensiero e rozzezza di esecuzione, questa evidente fratellanza fisica tra la cattedrale e la vetta.

Iconografia del lupo che mangia l’agnello

Iconografia del lupo che mangia l’agnello, Pieve di San Pietro a Gropina

Le pagine firmate da Ruskin sullo stile gotico intessono una trama in cui le vicende storiche, la potenza dell’arte e finanche l’attuale e quasi profetica questione sociale futura, si snodano in poesia.

Il gotico da lui descritto è l’espressione e il risultato dell’impegno di una collettività in cui lo scrittore ritrova il potenziale vitale di un’arte della partecipazione:

[…] forse l’aspetto più mirabile delle scuole gotiche di architettura è proprio questo: accettare i risultati del lavoro delle menti più umili, e da frammenti tanto visibilmente imperfetti, farne sorgere con indulgenza un tutto grandioso e inattaccabile.

Capitello della Basilica di Sainte-Marie-Madelaine

Capitello della Basilica di Sainte-Marie-Madelaine, a Vezelay

L’unicità della creazione, l’importanza dell’espressione manuale

La mentalità moderna […] in tutte le cose anela alla massima completezza e perfezione […] Astrattamente, questa è senz’altro una caratteristica molto nobile, ma diventa ignobile quando fa dimenticare le dignità intrinsecamente relative a quella stessa natura, e preferire la perfezione delle cose più meschine alla perfezione di quelle più grandi. […] E dunque, se in tutte le cose che vediamo, o facciamo, dobbiamo desiderare la perfezione, e sforzarci di raggiungerla, non dobbiamo, però, dare più importanza a quanto è mediocre, nella sua limitata compiutezza, rispetto a ciò che è più nobile, con la sua possibilità di progresso.

Negli stessi anni in cui Ruskin è impegnato con la stesura del trattato, le criticità per l’invadenza della macchina e del nuovo tessuto industriale saranno sollevate anche dalla Confraternita dei Preraffaelliti. Secondo questi ultimi, infatti, il sistema industriale ad ingranaggi si presentava quale acerrimo nemico della creatività, anestetizzandone e bloccandone ogni lieta espressione.

Contorsionista

Contorsionista; dettaglio capitello della Chiesa di Anzy-le-Duc

Negli ultimi anni abbiamo molto studiato e perfezionato quella grande invenzione della civiltà moderna che è la divisione del lavoro: soltanto le abbiamo dato il nome sbagliato. In realtà, non è il lavoro ad essere diviso, ma l’uomo. Diviso in meri segmenti d’uomo, frantumato in frammenti e briciole di vita, sicché la piccola porzione di intelligenza che gli vien lasciata, non è sufficiente per fare un ago o un chiodo, ma si esaurisce nell’atto di fare la punta dell’ago o la testa di chiodo.

[…] il tipo di lavoro al quale sono condannati è degradante e li rende ogni giorno meno uomini.

[…] Noi possiamo fabbricare tutto, ma non gli uomini.

L’essere pensante

Nella struttura e nella natura di qualsiasi uomo […] esistono in potenza capacità di fare qualcosa di buono. Queste capacità potenziali non possono essere rafforzate se non le accettiamo nonostante la loro debolezza e se, nella loro imperfezione, non le apprezziamo e rispettiamo più della più grande e raffinata abilità manuale. E proprio questo dovremmo fare con tutti i lavoratori: cercare la parte pensante che è in loro e farla venire alla luce, anche se, insieme, siamo costretti ad accettare imperfezioni ed errori. […] Lasciamo che incominci a far funzionare l’immaginazione, a pensare, a tentare di fare qualcosa che valga veramente la pena; subito scompare la precisione meccanica e vengono fuori tutta la sua rozzezza, lentezza e incapacità, ma si incomincia anche a intravedere l’intera grandezza della sua individualità.

Larga parte dell’utopia di Ruskin sembra quasi profetizzare quella «costruzione lenta del sociale, per tutti» indagata dall’operatore estetico nel cuore delle periferie urbane, nel corso del secolo immediatamente successivo. Il suo appello ad un’architettura che si mostra in qualità di «entità viva e pulsante», ribadisce il ruolo essenziale di una disciplina che offre continui e vitali spunti per ripensare la condizione umana.

 

Riferimenti bibliografici

Ruskin J., Le pietre di Venezia, Mondadori, Milano 2000.

Ruskin J., La natura del gotico, Jaca Book, Milano 2016.

Ruskin J., Le sette lampade dell’architettura, Jaca Book, Milano 2016.

Ruskin J., Leoni G. (a cura di), Turner e i Preraffaelliti, Abscondita, Milano 2019.