Domus Chirurgo

«Tra la luce e una notte eterna»

[…] le notti… sono i capelli del giorno, capelli neri, folti e duri, foreste impenetrabili.
Noi in quei capelli ci perdevamo ma dovevamo viverci. Ma era tutto così normale. Tutte le mie notti, nella mia città, nella mia casa, nella mia stanza, sono state completamente buie. Tutte. Tranne la mia ultima notte.

La mia ultima notte.

Marco Sassi, Quando manca la luna

Con un rocambolesco guizzo in avanti, nel tempo sconosciuto e ignoto del futuro, la storia della cosiddetta domus del chirurgo di Rimini ha inizio tra le fiamme di un assalto, congelandosi eternamente nella tragicità di un incendio. Per quanto, difatti, possa suonar paradossale è stata la distruzione nemica, nel corso di scorribande e saccheggi dei popoli del nord, a restituire ai posteri la magnificenza e l’estetica di una abitazione romana, risalente al III secolo d.C.

La domus del chirurgo e il complesso archeologico di piazza Ferrari, nel centro di Rimini, si raccolgono come in pagine di un volume inestimabile. Un libro di terra e pietra, impastato con la tenacia del tempo e di una memoria stratificata.

Domus Chirurgo

Alle origini… Ariminum

La città di Ariminum (l’odierna Rimini) deve il suo più antico nome al fiume Ariminus (l’attuale Marecchia), snodo marittimo nevralgico per le più importanti rotte commerciali d’epoca romana. Fondata nel 268 a.C., la città lambita dalle acque vedeva anche il portentoso passaggio di tre grandi strade consolari: la Flaminia, l’Emilia e la Popilia.

A testimonianza del ruolo cittadino chiave dell’intera area restano tutt’oggi l’armonico Ponte di Tiberio e l’Arco di Augusto, eretto nel 27 a.C. con decreto del Senato romano al fine di onorare l’imperatore, che proprio il 16 gennaio di quello stesso anno tornava vittorioso dalla battaglia di Azio.

Il rilievo economico e socio-politico dell’intera area aveva fatto sì che la città rivelasse una cospicua presenza di edifici pubblici, basti pensare alla costruzione di uno dei più estesi anfiteatri dell’Impero, nonché numerose residenze private, dall’estetica quantomai ricercata.

Come sottolineato da Jacopo Ortalli:

L’alto standard dei contesti residenziali dell’epoca si esprimeva anche […] attraverso le qualità ambientali delle domus e le ricercate suppellettili vitree, bronzee e ceramiche che le guarnivano; a dimostrarlo è l’archeologia, con i rinvenimenti che testimoniano il rinnovamento e l’ampliamento di molte abitazioni […]

I modelli architettonici dominanti […] erano caratterizzati da impianti estensivi, variamente articolati, in cui eccellevano prestigiose sale di rappresentanza e ricevimento, affiancate da giardini e peristili talora abbelliti da vasche ornamentali.

Domus Chirurgo

La residenza di Eutyches

La domus del chirurgo, eretta su di una primaria residenza patrizia di età repubblicana (I secolo a. C), sorgeva a ridosso del mare e della spiaggia, poco distante dall’antico porto. È bene, infatti, precisare che, a causa di una linea costiera molto più arretrata, il porto a quel tempo sorgeva nei pressi dell’attuale stazione ferroviaria di Rimini.

Come ha ben evidenziato Ilaria Balena:

La domus rimanda a modelli costruttivi del II secolo a.C.

A differenza della tipologia più conosciuta, […] dotata di una struttura regolare disposta attorno ad un atrio e un cortile porticato (peristilio), questa casa riminese, come la maggior parte di quelle scavate in città, era più “chiusa”, con le stanze principali che si affacciavano su un corridoio e con un grande giardino-cortile esterno.

La scelta di questo modello costruttivo era influenzata dal clima, che in inverno raggiungeva temperature meno miti rispetto a quelle dell’Italia centro-meridionale.

L’accurata azione di riscoperta e restauro dell’area archeologica inizia nel 1989, per giungere a conclusione nel 2006. La mano attenta di quegli studiosi e restauratori, che hanno riportato in luce uno scrigno di vita e saperi, ha liberato larga del piano terra dell’abitazione, bloccata per sempre dall’azione distruttrice di un assedio barbarico (si presume Alamanni e lutungi). Il fuoco, difatti, ha fatto sì che sotto il peso del rogo e del crollo del piano superiore, si andasse a sigillare definitivamente ogni traccia di vita domestica «di quell’ultimo giorno» (pensiamo a vasellami, addobbi casalinghi e tanto altro).

Domus Chirurgo

L’impianto abitativo della domus del chirurgo

Gli studi condotti sul campo hanno portato a ritenere che la domus di piazza Ferrari possa esser narrata partendo da una divisione generale tra un settore della dimora destinato all’abitazione del nucleo familiare ed un altro adibito ad area di rappresentanza per gli ospiti. A tali settori, in chiave diremmo funzionale, va poi ad aggiungersi la taberna medica, necessaria all’attività del capofamiglia.

A risaltare, nelle domus, era soprattutto la ricchezza e la varietà delle pavimentazioni a mosaico e in opus sectile a marmi policromi, cui normalmente si accompagnavano pregevoli affreschi parietali, in un quadro di produzioni artistiche che lascia intravedere la formazione di una scuola locale.

Al di là del mero aspetto decorativo, la presenza di meravigliosi mosaici all’interno del complesso ha guidato nella più accorta lettura e analisi della vita domestica e quotidiana svoltasi in quelle antiche stanze.

Come nel caso del triclinium, ovvero l’ambiente esclusivamente destinato ai pasti di convivialità e rappresentanza, l’organizzazione compositiva dell’opera musiva guida entro la via della più corretta ricostruzione di una scena di vita domestica romana.

Se, difatti, il perimetro della stanza si presenta a pianta trapezoidale, è la fascia bianca disposta su ben tre lati della pavimentazione ad indicare che in quello spazio, libero dal mosaico, erano categoricamente posti i letti da banchetto destinati ai conviviali.

Il prezioso e raffinato mosaico che decora il pavimento della stanza si presenta a tessere bianche e nere, con la raffigurazione di un notevole kantharos che campeggia come emblema centrale. L’immagine prescelta, ovvero quella di una grande coppa da convivio, sottolinea a maggior ragione la destinazione d’uso del locale:

Nei pannelli laterali sono [invece] raffigurate due pantere e un’antilope in corsa. Rimangono in un angolo parte degli intonaci della parete di colore rosso scuro […]

Domus Chirurgo

Eutyches e la medicina d’Oriente

Mio marito era un medico sapete? Un grande medico. […]
Dove metteva le mani lui il sangue si arrestava, il dolore veniva spremuto tutto fuori dal corpo, la paura si ottundeva.
[…] Noi dicemmo a quel medico che forse aveva dei poteri speciali. Lui rispose che l’unico potere in suo possesso era quello delle mani – e le protese verso di noi – un potere che aveva ricevuto a Corinto, a Cnosso, […] ad Alessandria. Là dove aveva appreso il mestiere di guarire. […] Aveva mani allenate per questo, aveva strumenti perfetti, aveva tutta la conoscenza dell’Oriente.
Ma era solo un uomo, anche se grande.
Quanto è difficile porsi tra la luce e la notte eterna.

 Marco Sassi, Quando manca la luna

«[—Eut]YCH […] / [ho]MO BONUS / [hic h]ABITAT. / [Hic su]NT MISERI.» – è l’interpretazione che gli studiosi hanno derivato da una importantissima iscrizione muraria, ritrovata sull’intonaco di una delle pareti del cubiculum.

Quest’ultima stanza, anch’essa mosaicata, è posizionata a seguito del triclinium ed è per merito della dedica impressa su parete, che si è giunti a presupporre che quella doveva essere l’area destinata al ricovero dei pazienti.

La domus, definita non a caso del chirurgo ha riportato in auge uno dei più importanti corredi chirurgici, appartenenti all’impero romano, sino ad oggi conosciuti:

[…] consta di più di 150 strumenti in ferro e bronzo. Ci sono bisturi, […] uncini, sonde, aghi, insieme a strumenti per interventi di chirurgia ossea come leve, scalpelli, sgorbie e trapani, non mancano infine gli attrezzi odontoiatrici.

Dal un punto di vista antropologico, l’accentuazione e, rispettivamente, la mancanza di arnesi e utensili destinati caratteristicamente alla cura delle donne (basti pensare agli strumenti da ostetricia), sottolinea quella che era la netta divisione di genere, seguitata anche in campo medico.

Come immaginato e scritto in versi nel monologo teatrale, a firma Marco Sassi e performato da Simona Matteini:

Mio marito non curava le donne. Se non raramente.
Altro genere, altri problemi, altri destini.
[…] Lui era destinato a rattoppare ferite […], riattaccare le ossa, a farle funzionare ancora; a togliere il ferro guadagnato in guerra, a far sanguinare le ferite e sperare, sperare, sperare e […] ancora sperare che il dolore non arrivasse alla morte. 

Assieme, poi, alla strumentazione da intervento, sono stati recuperati utensili e vasellame, strettamente legati alla professione di farmacista. Specializzazioni che all’epoca si riunivano in una sola, stessa figura.

Domus Chirurgo

Tra le braccia di Orfeo…

Dal solco di quel che resta di una porta, il cubiculum apre ad una delle stanze più rappresentative della domus: la cosiddetta stanza di Orfeo (nome donato dal ricco mosaico ivi contenuto):

[…] un tappeto musivo policromo, con un grande cerchio a reticolo di esagoni, inscritto in un quadrato con cornice a treccia. Ai quattro angoli ci sono due coppie di pantere e di cerbiatti in corsa, mentre gli esagoni presentano al centro Orfeo seminudo, seduto su di una roccia, con la lira in una mano ed il plettro nell’altra.
Intorno a lui un pappagallo, un’aquila, un leone, un fagiano, una pernice e un daino, arricchiti da elementi naturalistici.

Si presume che Orfeo, l’abile cantore che al suono della sua lira ammansiva persino le fiere più feroci, fosse, a livello rappresentativo, la figura più idonea a decorare ed accompagnare il racconto musivo di una stanza destinata alla degenza dei pazienti.

Per quanto, infatti, ad oggi possa suonare inusuale, in un ambiente unico di feste e convivio, vita quotidiana e amore familiare, muoveva e si udiva, in un colpo solo, la forza della vita e l’incombere della morte di estranei degenti, fiduciosi delle mani di quel medico che veniva da Oriente.

Reperti come la mano votiva del Giove Dolicheno, rinvenuta in questa stessa stanza, e il Pinax in pasta vitrea, che abbelliva la parete del triclinium (un esemplare molto simile fu prodotto a Corinto nella metà del III secolo), sono una eccezionale conferma della provenienza dalle regioni greche dell’homo bonus Eutyches.

Il medico immortale dell’antica città di Ariminum.

 

 

Si ringrazia la dottoressa Serena Amati, per il Comune di Rimini, e la Soprintendenza ai Beni Culturali per la messa a disposizione del repertorio fotografico che accompagna il testo.

Riferimenti bibliografici

AA.VV., Museo della città. Sezione archeologica Rimini, La Pieve Poligrafia Editore, Villa Verucchio 2013.
Ilaria Balena, Marco Sassi (a cura di), La domus del chirurgo e il complesso archeologico di piazza Ferrari, Bookstones, Rimini 2016.
Giorgio Bejor, Maria Teresa Grassi, Stefano Maggi, Fabrizio Slavazzi (a cura di), Arte e archeologia delle province romane, Mondadori, Milano 2011.
Mariateresa Curcio, L’arte romana oltre l’autore. Originalità, imitazione e riproduzione, Mimesis, Milano 2020.