
[…] nel rito di costruire una casa esistono due tempi. Uno è il tempo dello spazio dell’universo, percorso dai giorni, dalle notti, dalle stagioni, dai mari, dalle foreste e dai deserti: uno spazio incontrollato e misterioso carico di favori e di disgrazie. L’altro è il tempo del rito, quando si costruisce uno spazio artificiale, conosciuto, preparato e controllato a evocare, a sottrarre favori e fortune al grande spazio dell’universo.
L’architettura è un rito magico.
Ettore Sottsass, 1956
L’architettura come rito, che scandisce uno spazio universale, richiama il mito della creazione proprio di innumerevoli culture. Secondo un’antica leggenda Crow, la creazione del mondo vede la sua genesi allorquando il Vecchio Uomo Coyote, creatore di mondi, pianta una piccola radice in una zolla di fango, recuperata in un caotico flusso acquoso.
Come ricorda Salvo Pitruzzella nell’ illuminante saggio L’ospite misterioso:
[…] vi è qualche affinità tra il demiurgo gnostico e il Vecchio Uomo Coyote. È scritto nell’Origine del mondo (testo gnostico ritrovato tra i manoscritti di Nag Hammadi) […] Egli si manifestava come un vento che muoveva qua e là al di sopra delle acque. Dopo la manifestazione di quello spirito, l’arconte divise la sostanza acquosa da una parte, e la sostanza secca dall’altra parte; con una materia si creò una dimora, che chiamò “cielo”, con l’altra materia creò uno sgabello, che chiamò “terra”.
Se vi è un elemento visceralmente legato all’esistenza stessa dell’essere al mondo dell’uomo, questa non può che essere la terra cruda, simbolicamente evocante l’origine del tutto. La consistenza stessa dell’immagine di una grande Madre natura, da cui tutto deriva.
L’architettura di terra
Scrive Stefano Chiodi:
Lavorare nell’interstizio tra contesto “reale” (storico, ambientale, sociale) e immaginario, nel segno della agambeniana “inappartenenza”, permette di mettere a fuoco il processo di costante, consapevole e indispensabile ibridazione della tradizione italiana. […] Non per liquidare la sua vicenda storica, ma al contrario per ritrovare una storicità come forza che vivifica e conferisce profondità al presente, una storia plurale e multiversa, fatta di frizioni e di conflitti, di fessurazioni e complesse suture, di lacerazioni traumatiche e faticose rielaborazioni.
La penisola italiana, nella sua ricca e intricata tela di «forme d’arte abitativa» per molto tempo classificate come espressione di un’architettura «minore», annovera molteplici costruzioni tradizionali aventi come componente edilizia maggiore la terra cruda. Tra le regioni che ancor oggi presentano un portentoso numero di edifici in terra vi sono le Marche, la Sardegna, il Piemonte, l’Abruzzo e la Calabria.
Uno dei fattori più preziosi che contraddistingue tali edifici, e in alcuni casi quel che purtroppo ne rimane, è la caratterizzazione differente e regionale della tecnica costruttiva e dei materiali in essa impiegati.
Come ben analizzato da Mauro Saracco all’interno di un fondamentale progetto di ricerca:
Le forme del costruito sono improntate alla massima concentrazione e al minimo dispendio economico, ottenute attraverso l’impiego di tipologie molto semplici (case a schiera ad un piano o a due piani con scala esterna) e materiali facilmente lavorabili e reperibili in “loco”.
[…] L’area del pesarese presenta tutt’oggi diversi agglomerati di questo tipo, per lo più costruiti in pietra arenaria e calcare appena sbozzato, vista la facile reperibilità dei due materiali in zona. Nelle Marche centro-meridionali, invece, pur mantenendosi inalterati i caratteri distintivi delle tipologie suddette, mutano i materiali e la terra cruda viene impiegata frequentemente.
Borgo Villa Ficana a Macerata
Le casette a due piani sono alte non più di cinque-sei metri ed il piano terra non supera i due metri; per entrare bisogna chinarsi e all’interno la cucina è una stanza di appena tre metri per due. Fra i vicoli deserti i rumori della città giungono ovattati, persino il rumore dei propri passi disturba e la voce, istintivamente, si abbassa per non infrangere il silenzio.
Questo borgo irreale è fuori dal tempo.
Di probabile fondazione etrusca, il borgo detto «la ficana» è già attestato dal catasto di Macerata nel lontano 1268. Composto quasi totalmente da strutture in terra cruda, il borgo si sviluppa nella zona ovest della città marchigiana. La crescita economica ed urbanistica di Macerata entro le sue mura portò all’abbandono del primo nucleo insediativo del borgo. L’odierna Ficana vede allora la sua rifondazione nel XIX secolo, con la data simbolo 1862, «incisa su un mattone inserito nel muro in terra cruda di un’abitazione tutt’ora esistente».
Come asseriscono gli Atti della giunta del 1884, la nuova fondazione vede l’attuarsi di una grande speculazione fondiaria in quanto l’area apparteneva quasi interamente a tre piccoli proprietari terrieri «che a partire dal 1850, fiutando l’affare, iniziarono a farvi edificare case d’affitto costruite con terra mista a paglia che volgarmente dicesi a maltone».
Ricorda ancora Saracco:
Gli affittuari appartengono a ceti sociali modesti essendo per lo più ex coloni inurbati o manovali alla ricerca di una nuova occupazione. Quale sia la motivazione che determina l’insediamento in questa piccola zona “extra moenia” di un gruppo sociale così omogeneo non è dato sapere, ma è presumibile che la richiesta di abitazioni economiche, abbia spinto i piccoli proprietari di appezzamenti ad edificare con la prospettiva di un guadagno più proficuo di quello ottenibile dallo sfruttamento agricolo delle aree in questione. Si viene, quindi, a creare una zona nella quale è possibile soddisfare le esigenze di una particolare domanda, che non trova alternative in nessuna altra parte della città.
Le costruzioni hanno perciò superfici ridotte, ed il contenimento dei costi di costruzione è garantito dall’uso della terra cruda, prelevata in “situ”.
Gli Atterrati marchigiani
In area marchigiana, le fonti […] contengono i termini “acterratum, adterratum, atterratum”, da cui l’odierno “atterrato” che, nelle espressioni vernacolari, individua ancora edifici rurali in terra cruda.
[…] aterrare: terra implere; terra munire, instruere, quindi riempire do terra, fortificare con terra, costruire;
aterrare: ad terram adhaerere, trahere; oppure: ad terram dejicere prosternere, nel significato di disporsi a terra, aderire […]
La denominazione Atterrati richiama la materia di cui sono maggiormente composte queste costruzioni insediative. Per quanto concerne la tecnica costruttiva, nonché i caratteri tipologici delle architetture di terra, è bene ricordare che come per tutte le abitazioni tradizionali e modeste, a dettar legge è lo stretto legame tra gli spazi abitativi e l’attività lavorativa svolta dai suoi occupanti.
Come già raccontato a proposito dei tipici Vignali di Sammichele, in Puglia, e della maestria di una grande architettura della sopravvivenza, anche per quanto concerne gli Atterrati, la scelta compositiva e costruttiva è sempre stata fortemente ancorata alle necessità pratiche e artigiane del suo abitante-costruttore. È pertanto da quest’ultimo fattore che deriva la varietà tipologica.
A fronte di quanto asserito è possibile annotare solo alcune distinzioni legate alla «destinazione d’uso»: gli alloggi degli agricoltori si organizzavano su due piani, destinando il piano terra ai mezzi agricoli e al bestiame, mentre il piano superiore costituiva la residenza per i componenti della famiglia.
Il corpo scala solitamente era interno e posto centralmente alla struttura; differentemente quando le scale si presentavano esterne, queste venivano realizzate sia in laterizio che con l’impiego della stessa terra, eccezion fatta per le pedate. In ogni caso, non vi era mai spazio “buttato via”: difatti il sottoscala ospitava piccole dimesse o ripostigli, o ancora forni in muratura per la cottura degli alimenti.
La scala caratterizzava, molto spesso per l’esistenza di più di un corpo, anche le residenze a due piani destinate ai casanolanti, ovvero gli «abitanti delle case a nolo» che lavoravano come braccianti e occupavano quelle modeste dimore a scadenza. Due diversi corpi scala potevano allora segnalare visivamente la convivenza di due o più famiglie all’interno della medesima struttura.
Scrive Augusta Palombarini:
I borghi dei casonolanti sono tuttora facilmente riconoscibili indipendentemente dal materiale di costruzione usato, pe lo più scadente e di recupero, perché contraddistinte da schiere di case a due piani, di piccole dimensioni, divise in unità abitative di due o quattro stanze collegate da scale interne o esterne. Spesso sul retro delle abitazioni c’è un piccolo orto o lo stalletto del maiale.
Le cattive condizioni abitative e igieniche denunciate […] non dipendevano dal materiale costruttivo, ma da altri fattori […] quali l’affollamento e la coabitazione di più nuclei famigliari […] uomini ed animali, l’accumulo di letame e immondizie.
Disciplina del recupero: ben oltre il progresso, infiniti immaginari
La difformità nelle condizioni di vita e forme sociali, le situazioni arretrate di dominio e i modi di produzione desueti non sono fatto accidentale del capitalismo ma il modo determinato di essere. […] Gli slum, le aree inquinate, i profughi del mondo intero delle fasi successive della globalizzazione hanno la loro spiegazione nei raffinati quartieri direzionali dei centri di potere multinazionale di allora. L’esistenza di diverse forme sociali, il mantenimento di condizioni arretrate con modi di produzione desueti in alcuni paesi e distretti tecnologici superavanzati in altri non è una condizione accidentale che si tende a superare, ma il modo strutturale attraverso cui funziona il ciclo complessivo.
Pietro Laureano, 2021
Gli anni Settanta, con i centri di studio e ricerca nati in diverse scuole di Architettura, furono fondamentali per una degna riconsiderazione di un abitare «primitivo», sino ad allora letto con un’accezione per lo più commiserevole. L’attività di numerose riviste, come Quaderni del Territorio, promossa da collettivi di architetti, urbanisti e ricercatori, hanno promosso una visione altra riguardo quella spinta al progresso, impietosa verso tutte le forme di vita che ancora sfuggivano e resistevano al gran moto capitalistico. Se Pasolini ne Le ceneri di Gramsci canta «l’illimitato mondo contadino e preindustriale» e rimpiange «quella che Chilanti ha chiamato l’età del pane», è bene ribadire che ad oggi un sempre più attento approccio alle potenzialità di un’architettura secolare, può condurre non solo ad una buona pratica di tutela e conservazione, quanto alla ricchezza di apprendimento tecnico e intellettivo di una tradizione, che ha orgogliosamente costituito «una vendetta trasversale nei confronti del moderno».
Scrive Ettore Sottsass:
L’utopia di una purezza intellettualistica, di una idealità superiore dello spazio matematico, di una realtà disinfettata fino ad uccidere ogni insetto, ogni germe, ogni muffa vitale, mostra la sua crisi, il suo fallimento proprio nel momento del suo massimo successo […] perché un successo ufficiale non può essere tributato altro che a forme di restrizione umana […]
La casa, la grotta più oscura del più povero abitante di Matera è un congegno infinitamente più complicato e più raffinato di un super bombardiere o di un portaerei: più complicato e più raffinato perché più misterioso e magico – perché la tecnica dell’architettura è la tecnica della magia – nella quale giocano tutte insieme le carte umane, dalla pazzia al sesso, dalle lacrime ai sorrisi, dalle emozioni ai ragionamenti.
La documentazione fotografica che accompagna il testo narra del patrimonio storico-artistico del Borgo Villa Ficana, sito di grande eccezionalità per quanto concerne la conservazione, tutela e promozione dell’architettura in terra. Si ringrazia l’Ecomuseo di Villa Ficana per averne gentilmente concesso l’utilizzo.
Riferimenti bibliografici
Chiodi S., Genius Loci, Quodlibet, Macerata 2021.
Magnaghi A. (a cura di.), «Quaderni del Territorio». Saggi e ricerche (1976-1981), DeriveApprodi, Roma 2021.
Palombarini A., Volpe G., La casa di terra nelle Marche, Motta ed., Milano 2002.
Pasolini P.P., Le ceneri di Gramsci, Garzanti, Milano 2015.
Pasolini P.P., Scritti corsari, Garzanti, Milano 2015.
Pitruzzella S., L’ospite misterioso, FrancoAngeli, Milano 2008.
Saracco M., Architettura in terra cruda, Alinea ed., Firenze 2002.
Sottsass E., Per qualcuno può essere lo spazio, Piccola Biblioteca Adelphi, Milano 2017.