Salone delle Croci

La Galleria di palazzo Abatellis è un insieme di invenzioni allestitive e di attenzioni concettuali. Viene decisa, in primo luogo, una selezione delle opere più significative da esporre, per esigenze di spazio e soprattutto di fruizione. Poche opere, affinché il visitatore non resti confuso e frastornato. Le opere non in mostra sono collocate nei magazzini, su rastrelliere appositamente progettate per agevolare la consultazione allo studioso e a chi sia interessato.

Vengono adottati una serie di accorgimenti per garantire alle opere la migliore “esposizione”: i quadri, ad esempio, sono collocati sui supporti, lasciando una intercapedine tra il sostegno e il muro, affinché possa circolare un filo d’aria; vengono disposti i telai atti a consentire agevolmente minuziose ispezioni. L’allestimento della Galleria è un fondamentale testo per la storia della museologia italiana.

La realizzazione di un percorso, dall’entrata principale, attraverso un camminamento nel cortile coperto da tendaggi, l’ospite del museo avrebbe dovuto entrare e ripercorrere gli itinerari mentali di Scarpa, lasciandosi guidare dal suo istintivo gusto artistico, lungo il quale sarebbe stato condotto attraverso soste elette.

Trionfo della morte

Trionfo della morte

Lungo il cammino, si intesse un continuo dialogo tra l’interno e il cortile, un alternarsi di viste e scorci delle architravi traforate delle bifore che si stagliano contro il cielo azzurro. La continua osmosi diventa problematica, alla fine, quando si dovrà fare in modo che i visitatori possano tornare al guardaroba per ritirare le loro carabattole, senza che si bagnino, se il tempo, come raramente avviene in Sicilia, fosse piovoso.

È importante ricostruire, per una migliore comprensione delle idee progettuali di Carlo Scarpa, il percorso obbligato secondo il quale girano gli ospiti e le autorità presenti nel museo il giorno dell’inaugurazione; dove e in che misura la scelta delle opere condizioni la struttura del museo e quanto l’apparato allestitivo sia veramente conseguente alle selezioni.

Per indicare il susseguirsi delle sale, nella pianta delle due quote del palazzo pubblicata in “L’architettura – cronache e storia” nel 1955, Scarpa, usa una numerazione. La sala I la si mette in evidenza con due frecce, una che segna la porta, l’altra che guida il percorso. A partire dal cortile, quest’ultimo non si presenta univoco. Il disegno in pianta guida verso i quattro angoli, forti e densi di elementi: gli scaloni, la loggia, l’arcone sotto il quale si può vedere uno stupendo vaso Malaga. La sala II, seguendo il giro, è dominata dalla mole del Trionfo della Morte, la cui dimensione sovrasta e schiaccia il visitatore: le proporzioni vengono esaltate dalla visione dal basso, accentuando di conseguenza la sorpresa; inoltre lo stesso affresco lo si può osservare da una loggia al primo piano, dove ci si può sedere e contemplarlo. Le frecce continuano a guidare, secondo stretti passaggi obbligati, fino ad inquadrare contro una porta il busto di Eleonora d’Aragona; arrivando da quel lato, la si vede dal retro e di trequarti, in controluce per la finestra che le sta dietro. È il punto di vista peggiore per svelare l’Eleonora e non occorre confutare la teoria che Scarpa voleva invitare il visitatore a girarle attorno.

Madonna della neve di Antonello Gagini

Madonna della neve di Antonello Gagini

Se si entra dal portone centrale che si apre sul cortile, si vede un’enfilade di oggetti incorniciati dalle porte, secondo una visuale che si potrebbe affrettatamente considerare una rilettura dell’impianto del palazzo. Una porta, la Madonna del Gagini, un’altra porta, l’Eleonora e poi il fondo colorato del pannello finale mentre un’abile scansione di luci laterali scandisce il tempo del percorso.

Se il tempo lo consente, si esce nel cortile per salire lo scalone; “in caso di tempo piovoso”, sarà utile passare per una nuova scala in pietra progettata da Scarpa, con gli gradini a sbalzo di sezione esagonale compressa: un raffinato gioco di volumi che senza compenetrarsi accennano appena l’uno al successivo.

Al secondo piano, le sale si succedono senza soluzione di continuità. I trittici del Duecento, la croce del Giunta, poi sulla destra la bacheca che si incastra tra due muri per custodire i virtuosismi di un platero arabo; oltre la sala del trecento, si distende il salone principale. Entrati nel salone delle feste, Scarpa decide di sistemarvi le due grandi croci trecentesche, ordina che sia scrostato l’intonaco dalle pareti principali e che sia portata a vista la tramatura dei conci originari: su questi appoggia gli affreschi, come antichi arazzi, convenienti ad un salone di quel tempo. Sui lati corti, invece, ispessisce l’intonaco, dando risalto alle pareti, trattandole come lastre, riquadrandole e staccandole dai muri ortogonali: su quei “pannelli” sistemerà dei polittici. Con i velari alle finestre, la grande sala risplende, come un tempo, di luce nuova. La porta che divide la sala delle croci dalla sala successiva centra male l’intaglio in legno di uno stendardo che risalta su uno sfondo verde. Il gonfalone è un ricordo dei primi lavori di Antonello per una communitas di messinesi lontani dalla patria.

Nello sfondo ritratto di Eleonora d'Aragona

Ritratto di Eleonora d’Aragona

Il visitatore si muove verso l’esterno, cercando di inquadrare il gonfalone e di allineare il suo centro visivo con quello della porta. In questo modo al suo sguardo appare d’incanto la bellezza dell’Annunziata di Antonello.

“Luce ottima per Antonello”, dice Scarpa nella planimetria e si chiede se il grado di incidenza avrebbe eliminato i riflessi. Il vetro che la protegge rende difficile la visione dell’Annunziata, malgrado Scarpa ha scelto, per farla risaltare, un velluto vermiglio da una cassa di stoffe antiche del museo.

Dietro l’Annunziata in diagonale, Scarpa inventa un divisorio in legno, concluso obliquamente da un pannello su cui ruotano i tre Santi, per comprimere lo spazio prima e accentuarne poi la profondità, sfondandolo con due forti diagonali. Scarpa dispone i pezzi su piani ortogonali rispetto alle finestre; in questo modo orienta l’Eleonora d’Aragona, la Madonna del Gagini, le croci, la filigrana raffinata del trittico Malvagna. Con il telo circolare sul Trionfo della Morte, con i velari e con le trifore nella sala delle croci, smorza la luce del sole Mediterraneo. Se la luce è morbida si possono leggere i dettagli, ma solo grazie ad una luce orientata si possono vedere il ductus, le tracce di pittura e le decorazioni d’oro sulle statue. È quanto succede alla testa di paggio di Antonello, “il più noto e il più dotato tra i figli di Domenico Gagini”, che viene messa di profilo su uno sfondo nero, fuori centro rispetto al piedistallo, e questo a sua volta rispetto alla testa che sorregge, perché è sul centro della testa che si vuole concentrare l’attenzione; quando il paggio volge la nuca alla finestra, finalmente appaiono le decorazioni d’oro che la ricoprono.

Il mostrare di Scarpa è anche giudicare, dare spessore con rilievi differenti e risalti diversi, assecondando una cultura e un gusto personale che si complementano a vicenda. Il suo giudicare sottolinea due volte con i supporti in legno le opere più degne; incornicia la croce pisana con un riquadro che va molto al di là della funzione di semplice sostegno; appoggia semplicemente, laddove non ritiene necessario dare enfasi maggiore. Il suo porgere arriva ad occultare: mostrando altro, nasconde ciò che non gli piace; succede nella sala di Antonello, dove dietro l’Annunziata si nasconde una Madonna col Bambino, opera minore, attribuita al veneziano Marco Basaiti, legato al primo solo da “remote relazioni”.

Ritratto di giovanetto di Antonello Gagini

Ritratto di giovanetto di Antonello Gagini

Oltre questi tagli e queste decisioni, l’architetto ricopre la materia e progetta supporti per reggere le opere; sul massello d’ebano, il marmo del busto di Eleonora resta sospeso sull’ottone dei due cilindretti posteriori ed affonda in una lamina di piombo corrugata sotto il peso della massa marmorea. Altrove, tau di piombo arrestano e sorreggono i marmi decorati; legni, ferri e pietre sono modellati secondo disegni convenienti alla materia, talvolta a incastonare, talaltra a sostenere pezzi dal peso consistente che sembrano galleggiare in sospensione. Cerniere e incastri di semplici volumi permettono ai pezzi che sorreggono di ruotare.

I Tre Santi di Antonello, i dipinti del Quartararo, il Trionfo della Morte, possono ruotare attorno ai perni, ciascuno alla ricerca della sua propria “luce buona”.

Nel cortile di palazzo Abatellis a Palermo si trovano due parti di un’epigrafe araba dell’anno Mille che Carlo Scarpa ha sistemato a terra nel portico, con la funzione di lunghe panche per il riposo e la meditazione del visitatore. La tarsia di porfido e serpentino su marmo bianco dell’iscrizione, prima di cantare le lodi di Allah e del suo profeta, cela nei suoi segni sinistrorsi un segreto: “(T’ appressa), bacia il canto di questo (edificio) dopo averlo abbracciato e contempla le belle cose che racchiude”.

Nel cortile, Scarpa perfeziona nelle proporzioni e ridistribuisce più utilmente le aperture affacciate internamente sia sul portico sia sulla loggia, migliorando le condizioni degli ambienti relativi. Gli intonaci negli altri tre prospetti del cortile vengono tinteggiati alternando lievi gradazioni dello stesso colore, accordato con il timbro naturale della pietra e l’intensità della luce; un accorgimento vibratile per non offendere l’occhio con la monotonia cromatica delle superfici.

Salone della scala esagonale

Salone della scala esagonale

Aperti nelle murature i pochi varchi necessari a imprimere agli spazi d’esposizione, con la formula del verso orario, la richiesta continuità funzionale di visita, si deve risolvere la necessità di un collegamento verticale interno. Sbozzati sapientemente in pietra di Carini, i gradini a sezione esagonale compressa poggianti sulla lineare struttura metallica di una scala a giorno, con le lastre lapidee librate nel vuoto, congiungono il pianterreno col pianerottolo dello scalone esterno, per portare al primo piano.

Anche le chiusure mobili sono rinnovate nell’edificio: solido ma permeabile alla vista nelle porte lo specchio a carabottino, il graticolato che si usa nei palischermi eleganti. Lo spartito ligneo nelle finestre con colonnine, scandito da un ritmo in quarti con sapienti pause, è arretrato perché “gli infissi lasciano vedere anche dall’interno l’ornamento delle trifore”; nelle altre finestre, il ritmo dell’infisso è alternato tra il binario e il ternario.

Le superfici interne sono trattate, con paziente laboriosità manuale d’artigiani, a grassello e stucco opaco. Per esporre le opere, l’architetto pensa fondi tonali mutevoli con il vibrare luminoso naturale.

La sensibilità di Scarpa per il rispetto dell’edificio quattrocentesco, esige lo smontaggio del controsoffitto finto-antico in legno messo in opera nel salone, abolendo il posticcio a favore di una nuova foderatura non più realizzata.

Sala del Laurana

Sala del Laurana

Ridotto il numero delle opere d’arte da esporre, individuati dal responsabile dell’ordinamento scientifico in rapporto al carattere delle collezioni e alle dimensioni dello spazio, per le altre opere vengono organizzati ampi e agibili magazzini. I dipinti sono raccolti per la conservazione e la consultazione da razionali rastrelliere metalliche scorrevoli entro guide, sistemate a terra nel deposito maggiore, a soffitto in quello minore. Il piano terreno del museo viene destinato in linea di principio all’esposizione della scultura, il primo alla pittura, ma senza troppa rigidezza di scansione, né cronologica, né tipologica.

Per la comprensione dei congegni espositivi scarpiani, si deve riflettere sul rapporto tra l’oggetto e lo spazio del museo, nei luoghi di reciproco contatto, destinati a divenire speciali cerniere tra tempo e storia.

Il diafano busto marmoreo di Eleonora d’Aragona nella sala del Laurana al piano terra, riportato al suo appiombo a calcolata altezza, galleggia su un polito massello d’ebano, sagomato da curvature ellittiche secondo precise istruzioni del progettista. Un sottile cuscinetto d’aria, rinforzato dal contrasto polare della coppia bianco-nero, impedisce alla scultura di far corpo con il suo contrappeso inferiore. Leggermente sollevata posteriormente da due cilindretti di ottone, l’opera del Laurana poggia su una lamella di piombo, affogata in una placca d’ottone. Inoltre, la dimensione del supporto ligneo salvaguarda da uno spiacevole senso di resezione, tipico dei busti, e il suo disegno ne completa la forma. Penetrando da una finestra ortogonale rispetto alle spalle di Eleonora, la luce naturale che investe la figura lateralmente sottolinea la lieve inclinazione della testa e i valori plastici del modellato. Leggermente sporgenti dalla parete, i pannelli a stucco colorato presenti sul retro e sul fianco del busto fanno sì che il chiaro profilo femminile si disegni contro un denso tono cromatico. La sottile riga verticale di giunzione tra i pannelli, nel busto di Eleonora visto frontalmente, è un puntuale commento metrico. Confitta nel pavimento, l’asta su cui poggiano ebano e marmo costituisce un decentrato polo visivo per gli ambienti espositivi. Il visitatore, che viene dalla sala a doppio affaccio della cappella, è prima attratto dal gioco chiaroscurale del profilo, illuminato di tre quarti, poi è impegnato a muoversi attorno al busto sentendone le implicazioni volumetriche, infine è indirizzato dalla dinamica dello sguardo verso stazioni successive del percorso.

Impianto d’illuminazione di Palazzo Abatellis ideato da Carlo Scarpa

Scarpa pensa un regolato intersecarsi di tubi al neon con le travi di cemento armato a vista nel salone delle croci; nelle altre sale, immagina pannelli fissati obliquamente lungo lo spigolo alto delle sale distanziati da fessure verticali attraverso le quali avrebbe dovuto irrompere la luce. Altri fogli recano gli studi per una doppia teoria di bocce di cristallo, simmetricamente appaiate e sospese a mezza altezza dal soffitto. Gli schizzi si fanno più precisi, le bocce prendono materia, colore e poi anche misure, in una sezione al vero; vengono realizzate a Venezia, dalla Venini, e spedite a Palermo in numero di 39, alcune bianche, altre di uno splendore ametista. Ancora oggi giacciono in un magazzino del museo.

Spazio nella corte principale

Spazio nella corte principale

Il valore del dettaglio di Scarpa a Palazzo Abatellis

Per il busto cristallino di Eleonora d’Aragona, ruotato in debole torsione, Scarpa inventa un asse di bronzo saldamente confitto nel pavimento ed una solida base in massello d’ebano; quindi, con un lirico trionfo di materia, rende immateriale la figura, sollevandola con due cilindretti d’ottone posteriori ed una placca di piombo corrugata, sulla quale il marmo poggia anteriormente. Difficile pensare ad un omaggio più gentile all’eterea nobiltà dell’Eleonora. Un’arte del dettaglio sofisticata ed improbabile, quella di Scarpa nella Galleria dell’Abatellis, frutto di una anacronistica lettura delle esperienze viennesi di fin-de-siècle.

Tra i disegni del fondo, abbondano i chiarimenti assonometrici circa la maniera di costruire le basi ed i supporti delle opere. Gli schizzi recano un gran numero di iscrizioni e di specificazioni intorno ai materiali, ricercati accostamenti di essenze di legni pregiati, vetri “da specchio possibilmente belga e sottili oppure cecoslovacco”, fissati su pannelli pastellati alla veneziana. Sorprende, in un epigono dello jugendstil viennese, la rara presenza di misure; la forma, infatti, non è più generata a partire da una rigorosa geometria e le proporzioni tra le parti non sono affatto regolate da ragioni matematiche. Manca la commodulatio, ovvero, riportata in clima mitteleuropeo, quella trascendenza aritmetica che si manifesta attraverso il controllo della forma. Nulla vi è di più viennese della chiodatura regolare e cadenzata dei pannelli della sala di Antonello, nulla di meno casuale del taglio delle viti dei carabottini, allineate in verticale; di contro, delle auree proporzioni che misurano la nostalgia tardo-ottocentesca per l’arte della verità, non è rimasta che una labilissima traccia, un appunto appena, su uno schizzo di evidenza marginale. Nella privazione, tuttavia, nel processo di perdita di senso che accompagna la circolazione dei significati quando, si fa corrente, emerge un carattere eminentemente plastico, e cioè radicalmente tettonico, di pensare le cose progettando. Ovvero, disegnare immaginando una sostanza che genera la forma, la materia che dovrà permettere all’idea di avere luogo. In ciò, nulla è casuale nel progetto di Scarpa, nulla riesce a liberarsi come pura idea senza prima avere fatto i conti con la possibilità dell’essere reale.

Scala esagonale

Scala esagonale

Vigni al ritorno da un periodo di assenza, è costretto a fare ricomporre un’architrave quattrocentesco che Scarpa aveva voluto sostituire con un’altra dal disegno nuovo e subito fotografare paventando una rappresaglia. Se da un canto l’atmosfera del cortile con l’intonacatura a riquadri e con le rase rigature ortogonali ottiene un respiro astrattamente metafisico, d’altra parte, proprio questo ammutolire, questo congelare nei riquadri i lacerti superstiti dell’antica fabbrica si risolve nella negazione di ogni storica verosimiglianza. L’effetto complessivo rafforza la scarpiana poetica della cesura, messa in luce da Tafuri. L’analisi attenta dei disegni permette di introdurre una piccola aggiunta. L’intero progetto è disegnato sulle variazioni di una forma, quella di una losanga schiacciata, che si piega a libro per diventare la base di un marmo, si scava e si trasforma nei gradini della celebre scala, si ripresenta come architrave, si atrofizza negli spigoli smussati delle porte ed informa simultaneamente l’apertura degli infissi e la vetrina dell’ostensorio. Il Leitmotiv si trasforma in un disperato delirio di forma, in un’ossessione angosciante che supera tanto la nostalgia del frammento, quanto l’ironia delle figure. Una ricerca esasperata che, riaffermando l’inconsistenza del plus dicere scarpiano al di là dell’indiscusso magistero tecnico, si può spiegare soltanto attraverso una complessa serie di ragioni plastiche. Magistero che, per altro verso, appare come l’unica via di salvazione: da un canto, dal fardello del passato, dall’altro, dall’incertezza del futuro. Attraverso l’opera affannata intorno alla materia, il continuo e martoriante ritagliare, scavare, rubare agli spessori della muratura, il confrontarsi da titani in una lotta impari contro il corpo di un edificio radicato e forte già di una esistenza antica, che accompagnano l’intero corso del lavoro, si manifesta la fatica necessaria a dare luogo ad un progetto. Il lavorio incessante di adattamento costringe in termini strettamente architettonici il progetto iniziale di una esposizione univoca, un’agguerrita contesa tra un’idea e una sordida presenza di materia.

 

Riferimenti bibliografici

– Polano S., Carlo Scarpa a Palazzo Abatellis. L’allestimento della Galleria Nazionale della Sicilia. Palermo, 1953-1954, Electa, Milano 1991.
– Los S., Carlo Scarpa Architetto Poeta, Taschen, Köln 2009.