Macchina coperta dalle macerie del terremoto

Il sisma che ha colpito l’Italia in agosto e le scosse che continuano a fare danni ricordano che gli italiani che vivono in zone a rischio sono oltre 50 milioni.

Ma intervenire si può: lo spiega questo articolo pubblicato sulla rivista YouTrade.

Il terremoto che ha colpito l’Italia lo scorso agosto e lo sciame sismico che continua a provocare danni e vittime lo ribadisce.

Ci sono 26 milioni di italiani che vivono in zone classificate ad alta sismicità.

Altri 25 milioni si trovano in zone classificate a media sismicità.

In sostanza, 51 milioni di italiani sono esposti a zone sismiche a rischio medio-alto.

Si tratta dell’83,6% della popolazione italiana, un valore molto elevato, soprattutto considerato che vivono in aree ad altissima sismicità 3 milioni di persone, mentre la percentuale di popolazione esposta a nessun rischio sismico è solo del 5%.

Insomma, viviamo in un territorio rischioso, che è aumentato nel tempo, da quando le mappe della sismicità sono state aggiornate con gli eventi degli ultimi anni, in particolare dopo il terremoto dell’Emilia Romagna del 2012.

Dopo il sisma in Emilia, l’Italia si è scoperta una nazione molto più a rischio di quello che si pensava in precedenza.

Con la conseguenza che è iniziato un dibattito sulla necessità di prevenzione e sugli investimenti necessari a ridurre i rischi, garantendo la sicurezza degli edifici, non solo quelli residenziali, ma anche quelli non residenziali, dato che proprio il terremoto dell’Emilia Romagna ha evidenziato che i criteri costruttivi dei capannoni industriali-artigianali non tenevano in alcuna considerazione il rischio sismico, semplicemente perché quei territori non erano classificati come luoghi a rischio potenziale.

Se guardiamo i numeri dal punto di vista non della popolazione coinvolta ma del territorio, il 29% della superficie italiana è a rischio basso, mentre il restante 71% si divide tra l’8,9% di zona ad alto rischio, che coinvolge 706 comuni, il 34,6% a medio rischio, che coinvolge 2.187 comuni, e il 27,3% a basso rischio, che coinvolge il 25,1% dei comuni italiani.

Pericoloso il 44% del territorio

Dunque il 44% del nostro territorio è a medio-alto rischio e, secondo uno studio del 2012, sono potenzialmente coinvolte da eventi medio-alti 10,7 milioni di abitazioni e 5,4 milioni di edifici, dei quali l’86% residenziali e il 14% non residenziali.

Sono numeri eclatanti, numeri che indicano come il fenomeno della sismicità sia molto più rilevante di quanto pensassimo un tempo.

Vi sono regioni nelle quali il rischio medio-alto coinvolge oltre il 64% dei comuni, come in Friuli Venezia Giulia ad esempio, per arrivare alle punte massime di regioni come Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata e Sicilia, dove il rischio medio-alto coinvolge dall’80% fino al 95% dei comuni, con la punta massima della Calabria, che ha il totale del proprio territorio a rischio medio-alto.

Ma anche dove i comuni a rischio medio-alto sono coinvolti in percentuali minori, come ad esempio in Emilia Romagna o in Toscana, gli avvenimenti degli ultimi anni indicano che nessuna regione, ad eccezione della Valle d’Aosta, della Liguria e della Sardegna, è a rischio zero. Il rischio c’è ed è rilevante.

Statistiche tristi

Negli ultimi cento anni in Italia si sono registrati 56 terremoti con magnitudo Richter superiore a 5.0, 42 terremoti con magnitudo da 5.0 a 6, 10 con magnitudo da 6.1 a 6.9 e 3 con magnitudo 7 o superiore.

Complessivamente 33 terremoti hanno provocato oltre 170 mila vittime.

Se si circoscrive questo bollettino agli ultimi 50 anni, sono stati sette i terremoti più gravi, con 5 mila morti e 500 mila senza tetto.

Complessivamente negli ultimi 50 anni sono stati spesi oltre 121 miliardi di euro per l’emergenza e la ricostruzione, mentre se si fa il calcolo degli investimenti in prevenzione realizzati negli ultimi 10 anni la cifra è molto bassa, appena 750 milioni di euro.

Questi valori, riportati in grafico, sono la somma delle somme stanziate per gli interventi di ricostruzione in Italia dal 1968 in poi, ovvero dal terremoto del Belice del 1968 e fino a quello dell’Emilia Romagna del 2012, somme che in alcuni casi, come quello del terremoto dell’Irpinia o dell’Abruzzo, hanno portato a interrogazioni parlamentari e inchieste giudiziarie, spesso con condanne, per la cattiva gestione, se non quando vera e propria truffa e appropriazione indebita ai danni dello Stato.

La Corte dei Conti lo ha scritto chiaramente: nella ricostruzione dell’Irpinia si registrarono costi lievitati fino a 27 volte con il 48,5% dei progetti finanziati mai portati a termine, con la criminalità organizzata che fece il resto, mettendo letteralmente le mani sugli appalti.

La Commissione parlamentare antimafia nel ’93 ha scritto che «l’attività che si è svolta intorno all’utilizzo del fondi stanziata è stata condizionata dalle organizzazioni camorristiche».

Inchieste, accuse, sperperi, appalti illegali e business speculativi sulla ricostruzione, che si sono verificati purtroppo anche dopo il terremoto dell’Abruzzo.

Eppure un esempio virtuoso, storicamente ormai considerato l’unica vera buona pratica ricostruttiva e purtroppo relegata ad esempio mai seguito, è stata la ricostruzione del Friuli, dopo il terremoto del 1976, del quale quest’anno ricorre il quarantennale.

Un esempio molto positivo, pur nella sua gravità, purtroppo non seguito da altre ricostruzioni.

Tremarella costante

Ma al di là delle questioni, pur non secondarie, legate alla ricostruzioni e alle somme stanziate e spesso non spese o spese male, il tema e il problema è che in realtà la sismicità del nostro territorio e il rischio sismico sono fattori conclamati dalle rilevazioni giornaliere che l’Invg realizza costantemente con le centraline di monitoraggio e che indicano che negli ultimi dieci anni si sono registrate 154 mila terremoti con magnitudo oltre 2 della scala Richter.

Sono 42 terremoti al giorno, due all’ora, dei quali abbiamo percezione se ci troviamo in posizione supina.

Non sono terremoti dei quali preoccuparsi dal punto di vista statico e strutturale, ma danno l’idea che il nostro territorio si muove costantemente, sistema le faglie, aggiusta la tettonica, senza soluzione di continuità.

Sempre con riferimento agli ultimi dieci anni, i terremoti con scosse oltre i 3 gradi e fino a 5 gradi della scala Richter, quelli che iniziano a fare piccoli danni, sono stati 2.603, ovvero 260 all’anno, due ogni tre giorni.

Mentre i terremoti più gravi, con magnitudo oltre 5 gradi della scala Richter, sono stati 20, dei quali ben 9 nel 2012, riferiti al terremoto dell’Emilia Romagna e della Toscana, e cinque nel 2009, con riferimento al terremoto dell’Aquila.

La mappa dei terremoti e delle vittime nell’ultimo secolo in Italia è una mappa che evidenzia che tutto il territorio è coinvolto, con alcune aree, soprattutto quelle dell’Appennino centrale e meridionale, che presentano non solo elevati gradi di pericolosità, ma anche una presenza di popolazione che, proprio negli eventi catastrofici, porta il numero delle vittime a livelli molto elevati.

170 mila vittime in cento anni equivale alla sparizione di una città media come Reggio Emilia.

Che cosa fare

Per prevenire i danni servirebbero interventi significativi di messa in sicurezza degli edifici e di prevenzione.

Ma le somme stanziate allo scopo coprono solo piccole quote di quanto servirebbe.

Eppure il rischio è esteso e anche se in questo campo non vi sono modalità che permettano di prevedere l’evento catastrofico, le statistiche dimostrano che inevitabilmente siamo esposti a rischi molto alti.

È dunque il caso di intervenire utilizzando le migliori tecniche di messa in sicurezza preventiva per non dover ancora una volta affidarci a ricostruzioni costose e onerose, spesso fatte male e di una qualità così scarsa che, a distanza di qualche anno, l’effetto è quello di ricordarci i terremoti non solo per il numero delle vittime del terremoto, ma anche delle vittime potenziali che si potrebbero avere nel crollo di terrazzini di palazzine costruite nel post terremoto, come successo di recente a L’Aquila.

Imparare dagli errori e prevenire dovrebbe essere, in questo ambito, l’obiettivo primario e non ci si può che augurare che sia un vero obiettivo comune.


Autore: Fiorella Angeli