
Interrogarsi oggi sui quali siano i musei e gli spazi espositivi ideali significa liberarsi dal feticcio del nuovo, dell’architettura a tutti i costi, dell’ansia da costruzione.
Il giorno dopo l’inaugurazione del Guggenheim Museum di Bilbao, progettato dall’architetto Frank O. Ghery, il controverso rapporto tra contenitore e contenuto di un Museo ha assunto ed accesso un dibattito a scala internazionale, che vede schierarsi due opposti pensieri: il primo più a favore del contenuto, che vede l’involucro museale come un semplice contenitore rispettoso e per nulla infierente con la collezione; il secondo a favore del contenitore, che lo interpreta come esso stesso opera d’arte, polo attrattivo e manifestazione scenografica.
L’idea di museo oggi non più mausoleo, ma neppure teatro, non più accademia, ma neppure spettacolo, non più giardino delle Muse, ma neppure macchina per la divulgazione, non più laboratorio, ma neppure scuola, anche se in parte ciascuna di queste cose, il museo è diventato l’ultima e più anomala forma espressiva, che sappia ancora dimostrare una presa popolare e sociale, che possa far muovere la gente, farla discutere, farla vivere insieme delle esperienze. In ciò è parzialmente venuto meno ad alcuni suoi compiti, ma ne ha anche inventati altri, impensabili solo qualche decennio fa.
L’introduzione e l’innovazione tecnologica in campo museografico, di fatto, ha determinato mutamenti nei rapporti tra contenuto e contenitore.
Il Museo è passato da essere luogo di conservazione delle opere a essere esso stesso opera. L’esempio più illustre del Museo, visitato per il contenitore – almeno all’inizio, è stato il Guggenheim di New York, e suo legittimo erede sarà poi il Guggenheim di Bilbao.
Non sempre, dunque, si riesce a raggiungere il livello di equilibrio, che dovrebbe essere auspicabile all’inizio di ogni progetto di Museo, tra “contenuto” e “contenitore”, il Musée d’Orsay a Parigi ne è un chiaro esempio, a tal punto da esporre nella grande sala centrale, dove l’architettura rischia di sopraffare le opere, opere minori e di riservare quelle di maggiore valore estetico, culturale ecc., in locali meno imponenti.
Il Museo contemporaneo è basato sulla spettacolarizzazione del contenitore museale che si svincola dal suo ruolo di coprotagonista silenzioso, per prendere il sopravvento e diventare una vera e propria scultura urbana che, come una performance, investe sulla propria immagine per attirare i visitatori. Dal punto di vista architettonico, il nuovo Museo si sgancia completamente dai modelli tradizionali – anche se è interessante notare come l’architettura museale contemporanea si ispira costantemente a due archetipi museali che la storia ci ha consegnato: la Rotonda e la Galleria – per affiorare alla piena libertà di forma e si dota di nuovi spazi accessori.
Il caso Guggenheim rappresenta l’emblema di questo passaggio: la sua forma a spirale, comporta non poche difficoltà di allestimento delle opere d’arte, ostacolandone anche la fruizione.
Per fare un buon museo bisogna che l’architettura faccia un passo avanti e uno indietro: deve emozionare il visitatore che si sente protagonista quando entra, e deve fare un passo indietro subito dopo per far diventare protagoniste le opere che conserva […]. Per evitare che il museo diventi un’architettura auto celebrativa esso dovrebbe trasformarsi in “un museo dell’ombra”.
Il museo, deve essere, capace di mettersi in ombra rispetto agli oggetti che contiene, pur mantenendo lo stesso peso di quest’ultime, perché:
senza un’architettura […] gli allestimenti diventano scenografia, e gli oggetti restano sospesi nello spazio immaginario della finzione.
È pur vero che:
Non c’è nulla di male a visitare un museo anzitutto quale contenitore, e anzi l’appello costituito dal contenitore può incoraggiare a scoprire le opere.
Ma, continuando per questa strada, si arriva alla situazione del Beaubourg di Parigi, dove il contenitore costituisce certamente la massima attrazione, e il resto sono o servizi (di biblioteca e videoteca) o mostre temporanee.
Il contenitore come opera d’arte. Dal Guggenheim Museum di New York a Bilbao
Come già detto precedentemente, nel lungo dibattito – ancora oggi attuale – riguardo il rapporto tra contenuto e contenitore veri e propri “punti di non ritorno” sono stati il Guggenheim di New York (1943-58) progettato da Frank Lloyd Wright, e il Guggenheim di Bilbao progettato da Frank O. Gehry (1991-97).

Solomon Guggenheim Museum di New York, vista esterna.
Il Solomon Guggenheim Museum di New York, primo museo dedicato interamente all’arte moderna, si sviluppa attraverso una grande cavità circolare, illuminata dall’alto, attorno a cui si svolge una Promenade espositiva grazie alla rampa elicoidale che non solo rappresenta un percorso funzionale ma è anche un affaccio sulla hall di ingresso a tutt’altezza.
Secondo Wright la visita, che doveva cominciare dall’alto per poi svilupparsi in una comoda discesa, permetteva al visitatore di vedere dove era stato e dove doveva ancora andare.

Solomon Guggenheim Museum di New York, vista interna.
L’intento era quello di fondere arte e architettura, e l’imponente edificio doveva presentarsi come una gigantesca scultura, quasi fosse un pezzo della collezione, mettendo in discussione il principio novecentesco secondo il quale il contenitore museale dovesse mantenere una posizione discreta rispetto al contenuto.
Di fatto i muri e la pavimentazione inclinata, il colore delle pareti e il sistema di illuminazione, risultavano in netto contrasto con quella che alcuni consideravano essere l’esigenza base di superfici verticali neutre per l’esposizione di opere d’arte.
Wright riteneva l’architettura la madre delle arti e il Guggenheim rappresentò la piena dimostrazione del suo ideale di architettura organica, in cui forma, struttura e spazio si fondono.

Guggenheim Museum di Bilbao, esterno.
Circa quarant’anni dopo, la situazione si ripete a Bilbao, dove Frank O. Ghery è chiamato a progettare il nuovo Museo, il cui risultato è stato tanto spettacolare che si può parlare di un vero e proprio “effetto Bilbao”, oltre ad essere un chiaro esempio di Museo nell’era dell’archistar.
Il Guggenheim di Bilbao è una grande scultura a cielo aperto che si riflette sulle acque del fiume Nerviòn e risulta composto da una serie di volumi interconnessi in modo scenografico.
Fulcro compositivo interno del Museo è uno spettacolare atrio, illuminato sia dalla luce naturale che penetra lateralmente dalle grandi vetrate che danno sul fiume, che dalla vetrata che costituisce la copertura del punto più alto dell’edificio da cui la luce proviene zenitalmente.
Introno all’atrio si collocano poi i tre livelli delle gallerie, che ricordano il percorso a spirale del Guggenheim di Wright.

Guggenheim Museum di Bilbao, interno.
Frank O. Ghery ha dato vita a un luogo dotato di forme inedite, creando una sorta di archi-scultura in titanio che ha dato l’avvio all’architettura dello spettacolo. Egli mira ad un innalzamento dell’architettura all’autonomia della scultura, dichiarando:
pensavo che un edificio museale dovesse sottomettersi all’arte. Gli artisti con cui ho parlato hanno detto “no”: volevano un edificio che fosse ammirato dalla gente, non un contenitore neutrale. Anche Thomas Krens mi ha stimolato ad essere più aggressivo, sottolineando che a New York, gli artisti avevano criticato o odiato la rotonda di Wright, ma vi avevano fatto cose eccitanti.
Non più semplici contenitori neutri, i musei contemporanei dialogano con le collezioni, o se ne affrancano del tutto manifestando la propria autonomia.
Edifici storici e allestimenti moderni: Carlo Scarpa a Palazzo Abatellis di Palermo
Se in Europa e nel resto del mondo tale spettacolarizzazione avviene attraverso la nascita dei Super Musei, in Italia il Museo trova spazio in architetture storiche (già di per sé opere d’arte) attraverso un sapiente riuso degli stessi, assumendo vitale importanza, per l’architetto – al fine di dare un’impronta contemporanea, l’allestimento piuttosto che l’architettura del contenitore museale.
Come già detto altrove:
la scelta di edifici storici, da musealizzare, in Italia è un tema discusso già nel ventennio precedente alla seconda guerra mondiale. Carlo Scarpa e Franco Albini in primis, hanno effettuato sul tema dell’allestimento di nuovi spazi espositivi all’interno di edifici storici, un cambiamento radicale delle logiche museologiche e museografiche. Le realizzazioni di questi architetti sono divenute degli importanti esempi di progettazione museale all’interno di involucri storici e possono essere ancora oggi, fonte di ispirazione e di ricerca.
Notevoli furono i contributi di Albini e Scarpa, così come dei BBPR, non solo architetti ma anche geniali allestitori, guidati da tre aspetti chiave: l’equilibrio tra esigenze della nuova funzione e qualità del manufatto, l’individualità di ogni opera e la necessità di rendere la visita un’esperienza unica.
Il lavoro di Scarpa è visibile nell’intervento di Palazzo Abatellis a Palermo, del 1953, dove ogni opera sembra diventare il vertice di una prospettiva immaginaria e che rappresenta uno degli episodi più significativi nella moderna concezione del restauro architettonico e della moderna museografia in Italia.
L’attenzione di Scarpa si è concentrata sull’oggetto isolato da esporre e sull’edificio che lo contiene. L’intervento separa le opere pittoriche da quelle scultoree, destinando ad ognuna un piano dell’edificio e mette in stretto contatto il moderno con l’antico accostando le opere d’arte con elementi moderni progettati da Scarpa: esempio lampante è la collocazione dell’affresco del “Trionfo della Morte”, allestito nell’abside della cappella e montato su un telaio ruotante per far in modo che l’opera possa godere dell’illuminazione migliore in diversi momenti del giorno.

Palazzo Abatellis, Palermo. Allestimento del Trionfo della Morte.
L’intervento di Scarpa mira a rivitalizzare gli ambienti alla luce delle nuove esigenze espositive di palazzo Abatellis, disegnando ogni elemento nuovo nel dettaglio pensandolo nel rispetto dell’antico e come eccezionale supporto alle opere esposte. Questa relazione viene raggiunta con successo grazia ad un calibrato e attento uso della luce naturale, filtrata attraverso velari, e grazie ad una scelta cromatica e tattile delle opere tramite pannelli di sfondo stuccati alla veneziana.

Palazzo Abatellis, Palermo. Allestimento interno.
Zevi dice:
fra i numerosi allestitori di mostre e musei, Scarpa è stato forse il solo ad amare intimamente i dipinti e le statue, ad esaminarli a lungo con passione, prima di stabilirne l’ubicazione e il taglio.
Conclusione
Oggi il Museo si presenta sempre più come contenuto a sé, sia per la potenziale che offre dal punto di vista creativo, sia per il forte carattere di attrazione che esercita sul pubblico. Esso è diventato un importante strumento di comunicazione e, al tempo stesso, un punto di riferimento a livello urbano paesaggistico.
I musei sono diventati oggetto di moda, luoghi di massa e sono entrati nei circuiti del consumismo e di quella che si può definire la cultura del consumo, tanto da essere percepiti come alternativa “culturale”.
È doveroso ricordare come il cambiamento del ruolo del Museo è una diretta conseguenza del mutamento dello scenario sociale: il nuovo pubblico è sempre più esigente e stanco del Museo tradizionale e richiede uno spazio nuovo che sia all’altezza di offrire dei servizi.
Così come il cambiamento e l’evoluzione dell’arte, avvenute a partire dagli anni Sessanta e Settanta del Novecento richiedono, per forza di cose, un nuovo ambiente, libero e caratterizzato da grandi dimensioni.
L’arte è cambiata, i formati sono mutati, ma anche la società di oggi, dinamica e articolare, necessita di riflesso, di un Museo innovativo che presenti percorsi che stimolino il visitatore.
Questi Musei sono dunque lo specchio della contemporaneità.
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Riferimenti Iconografici
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Ibidem, p. 226.
Ibidem, p. 231.
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Le opere sono illuminate da una luce diffusa proveniente dall’alto – sia dalla grande cupola di vetro che sovrasta l’ampio spazio, sia dalle suggestive fessure che le spirali superiore della struttura creano sporgendo su quelle inferiori – riflessa dalle superfici curve e bianche, che conferiscono un senso di naturalezza all’intero ambiente e che accentua la sinuosità delle forme.
Cfr. ROTOLO P., L’Accademia di Belle Arti di Palermo e le sue collezioni. Progetto di allestimento museografico, Aracne editrice, Roma 2022, p. 18.
BBPR era la sigla che indicava il gruppo di architetti italiani costituito nel 1932 da Gian Luigi Banfi (1910 – 1945), Lodovico Barbiano di Belgiojoso (1909 – 2004), Enrico Peressutti (1908 – 1976), ed Ernesto Nathan Rogers (1909 – 1969). Ricordiamo il restauro e il progetto museografico del Museo Castello Sforzesco a Milano, con l’allestimento della Pieta Rondanini di Michelangelo, riallestita di recente secondo il progetto museografico dell’architetto Michele De Lucchi.