Pasolini e Enrique Irazoqui (nel ruolo di Gesù); sullo sfondo l’aiuto regista Lucidi

Tra gli scritti più preziosi sulla storia dei Sassi di Matera vi è, senza alcun dubbio, l’opera di Pietro Laureano Giardini di pietra.  Scrigno di riflessioni, eventi storici e comparazioni con altre forme insediative senza tempo sparse nel mondo, il libro è un’ode ad interrogare la materia, la storia, il mito, sino a percepirne la maestosa (forse irripetibile) essenza.

«Apologo del conflitto fra tradizione e modernità, esempio per la città sostenibile, metafora di un nuovo modello e proposta per il pianeta intero» – come sottolineato dall’architetto di origine lucana – Matera è la città, che con impegno e perseveranza, ha saputo tramutare le difficoltà e l’indigenza in una risorsa che dal 1993 ne ha segnato l’ascesa a meraviglia del mondo, patrimonio UNESCO.

Pier Paolo Pasolini l’ha definita luogo dell’anima, girando tra i vicoli dei Sassi il suo Vangelo secondo Matteo.

Canto della terra, canto della pietra

Negli anni ottanta del secolo scorso, in un fervente clima di riscoperta della cultura contadina, Cosmo Francesco Ruppi affermava che le pietre sono da considerarsi i veri libri della storia. Riflessione da cui oggi è bene partire se si vuol comprendere con minuzia di dettaglio la storia antropico-ambientale della civiltà rupestre delle gravine, senza fermarsi ad una superficiale, sola presa visione degli edifici che ne segnano il percorso.

Matera, antichissima “città trogloditica”, deve la sua urbanizzazione all’avvicendarsi di particolari fattori geologici, geografici, politici ed economici, uniti alla grande tenacia delle popolazioni che l’hanno abitata nel corso dei secoli. La prima apparizione del termine “Sassi” è documentata in uno scritto del 1204, per indicare quei rioni pietrosi che ne costituiscono il centro storico.

Il colle della Civita, il primo nucleo insediativo della città, apriva dall’alto a due anfiteatri naturali, che nel corso del tempo sono andati ad identificarsi con i rioni cittadini conosciuti come Sasso Caveoso e Sasso Barisano.

Le due vallate, caratterizzate dalla possente presenza di grotte tra le rocce porose, nel corso dei secoli hanno visto l’intrecciarsi labirintico di case, vicoli, chiese, ipogei e giardini pensili.

fotografia dal set Vangelo secondo Matteo di Pasolini

©Archivio Notarangelo; fotografia dal set Vangelo secondo Matteo di Pasolini

La casa grotta

Come accuratamente riportato da Fernando Ladiana:

Le abitazioni erano costituite, per la maggior parte, da una o due vani, non troppo grandi, muniti a volte di un muro divisori monolitico, per separare il soggiorno e la cucina dal vano letto. Di tanto in tanto c’erano abitazioni con la tipica alcova (che si riscontra ancora oggi nelle vecchie abitazioni di Massafra costituite in muratura), suddivisa da un pilastro centrale con archi a tutto sesto. Il soffitto era sempre piatto e l’altezza del pavimento superava di poco i due metri e mezzo. I focolari (alcuni con la cappa, altri col semplice camino) erano ricavati quasi sempre nella parte sinistra, dopo l’ingresso. Numerose erano le nicchie per l’alloggiamento dei torchietti famigliari (usati per la spremitura dell’uva) e dei recipienti per la conservazione del vino, dell’olio, del miele… Altre nicchie più semplici e di proporzioni ridotte servivano, invece, per deporvi i recipienti dell’acqua. Le pareti e i soffitti presentavano fori e caviglie utilizzate per lettiere e per i piani di legno su cui venivano poggiati i prodotti caseari e le carni insaccate, o ancora per sospendervi le lucerne e, all’occorrenza, la culla per il neonato, costituita da un sacco di tela o di panno tessuto.

In alcune grotte c’era anche la mangiatoia, ma si ritiene che tale struttura sia di epoca più recente. Le stalle, i pollai, le conigliere, gli alveari venivano creati all’esterno, nei ripari sotto la roccia, esposti possibilmente all’aria e all’azione dei raggi solari.

Per quanto concerne le grotte destinate alle attività lavorative:

Magazzini e depositi presentavano al loro interno grandi cisterne circolari con l’imboccatura munita di ghiera per la chiusura. Piuttosto che depositi d’acqua, ad oggi si pensa si trattasse di silos per la conservazione di cereali e prodotti leguminosi. Alcuni ambienti erano forniti di fosse, di vasche terragne, canaletti di scolo e pile di raccolta.

Poche erano le abitazioni che disponevano di una finestrella; porte e finestre erano munite di grondaie, realizzate con un canaletto scavato a lunetta, le cui acque venivano raccolte in apposite pilette sui fianchi della porta d’ingresso

È importante precisare che tale descrizione non costituisce una regola abitativa ipse dixit, poiché ogni abitazione rispondeva alle più pratiche necessità del suo abitante-costruttore.

Difatti, come sostenuto da Laureano:

Nella Matera antica l’equilibrio tra i consumi e i materiali è sempre mantenuto. Le costruzioni, proiezione esterna dell’opera di scavo, sono l’emanazione di un principio profondo che regola localmente ogni scambio di energie e realizza un incontro intimo tra l’uomo, l’animale, le piante e la materia. Nel passato ogni umore, ogni eiezione, ogni scoria del tempo era costantemente utilizzata, e la memoria più remota rimaneva presente nelle viscere sotterranee.

Oggi il guscio vuoto e i volumi ipogei, il positivo abbandonato e il negativo rimosso dai Sassi, ci ricordano come nell’ambiente tutto si paghi, che ad ogni realizzazione corrisponde uno stampo nascosto.

Susanna Colussi, mamma di Pasolini, nel ruolo della Madonna

©Archivio Notarangelo; Susanna Colussi, mamma di Pasolini, nel ruolo della Madonna

Nel giardino delle origini: il culto della vita e della morte

A Matera santi e anacoreti hanno realizzato giardini di aromi e di farmaci, e poiché abitavano il sottosuolo hanno scavato le tombe sulle proprie teste. Così mentre tra gli egizi, a Petra… si separa la città della vita da quella della residenza eterna, nei Sassi le tombe non sono nel buio profondo, ma nel sole dei giardini pensili:

«I morti stanno sopra i vivi»

I cimiteri intagliati nel calcare, così frequenti, sono simili alle sepolture-giardino del Neolitico: dove la vegetazione cresceva con colore più intenso e forme rigogliose; aie-are per celebrare la legge inderogabile del sacrificio, giardini di pietra dove si apprese il potere fertilizzante della decomposizione.

Laureano offre poesia alla descrizione dei giardini pensili tipici della Lucania e della Terra delle gravine, ripercorrendo la tradizione mitologica che tutt’oggi accompagna i vicoli e le dimore di quella pietra rara, perché eterna. Cosicché, persino la scelta e sussistenza di alcune metodologie progettuali e urbanistiche, sembra aver risposto e mantenuto nel tempo, il più stretto legame con il mito e il fondersi degli apporti culturali più disparati.

A tal proposito si ricorda che, vantando di una storia millenaria che affonda le radici nel Neolitico, Matera ha visto il passaggio e la convivenza di genti provenienti da terre anche lontane tra loro. Se, infatti, gran parte del mito che la caratterizza è riconducibile all’apporto delle genti del bacino mediterraneo, è pur sempre vero che, come asserito da Aldo Tavolaro:

[…] tutto è impastato d’antica civiltà, di cose pensate e studiate, qui affluite da vari canali, vagliate e acquisite dai nostri progenitori dotati di dottrina, gusto e sensibilità, ma ciò che più conta, aperti ad ogni conoscenza perché per loro il sapere non ammetteva frontiere. E dagli stessi dominatori e invasori con i soprusi prendevano anche tutto quanto vi fosse di buono e di utile, rielaborandolo con intelligenza e senza ostilità.

Tornando alle parole di Pietro Laureano:

Cinta, come la dea Kalì […] Matera, dalle mille braccia di pietra, è l’unione di vita e morte, corpo fossile e carne palpitante. Mater materiae, o meteora, cielo stellato, è inferi e cosmo insieme. E’ l’incontro dello spazio, del tempo e della materia con il suo rovescio.

[…] Nel corpo fossile di questo teatro del mondo, in cui sparisce la differenza tra palchi e scena, attori e spettatori, dove tutte le età sono contemporanee, rifioriscono i giardini di pietra, torna la vita a rappresentare la millenaria vicenda umana.

I Sassi accordano il canto della Terra.

Mater Era, genitrice della Terra e degli dei

Sempre facendo ricorso ad un’aurea mitica, Laureano annovera un prezioso e quanto mai esemplare documento oggi conservato nella Biblioteca Angelica di Roma. Si tratta di una pianta del XVI secolo, dove l’alveo del Sasso Barisano ricorda nelle sue forme il sesso femminile. E’, a tal proposito, che lo studioso ripercorre una delle più antiche e possibili etimologie di Matera, supponendo che possa riallacciarsi alla radice MTR, presente nelle lingue africane proprio con il significato di matrice primordiale, vulva. Ecco allora prospettarsi la grande e misteriosa visione di una Madre Natura da cui tutto ha inizio e a cui tutto inesorabilmente fa ritorno, nella culla dell’eternità.

[…] le labbra sul ciglio delle Murge frastagliate da grotte che circondano una fessura centrale solcata dal grabiglione. Qui, al centro di questa planimetria curiosa, ma che rappresenta con realismo le fontane, il lago della città, il castello e le chiese più importanti, capeggia la scritta:

 “Pianta di Matera/ Le grotte le stanno intorno a guisa di teatro”

Antica cartografia del territorio materano

Antica cartografia del territorio materano, XVI secolo. Roma, Biblioteca Angelica

Facendo ricorso ad altre possibili etimologie, l’urbanista lucano annovera anche Mater Era o Ea, madre di tutti gli dei e da cui deriva il termine “aia”, ovvero luogo fertile. La Divina genitrice era molto venerata in Lucania, nei giardini dei santuari in cui, come ad Atene, si custodivano i segreti dei preparati e dei farmaci. Si ritiene, infatti, che la cura dei semi delle diverse piante fosse affidata alle cure amorevoli delle donne. Questi venivano così custoditi nel buio delle cantine affinché in estate potessero sbocciare, ormai trasportati a vista sulle terrazze abitate. I vasi- giardino, di cui è rimasta reminiscenza nel termine per lo più dialettale “graste”, ad Atene, erano conosciuti come piccoli giardini di Adone:

Simili ad orti trasportabili della più lontana preistoria coltivati amorosamente da Eva, le “graste”, in cui nell’oscurità delle grotte viene fatto germogliare il grano, sono ancora in uso nel sud d’Italia e in particolare a Matera, dove vengono recati sull’altare durante le cerimonie dei sepolcri pasquali come simbolo di devozione e di fede nella resurrezione.

Matera, che come una fenice è risorta dalle sue stesse ceneri, non smettendo forse mai di scalpitare alle radici della sua storia:

[…] Non ha mai cessato di ipotizzare una dimensione beata, originaria, e finale.

 […] (materna) visione di un cielo stellato.

Luogo dell’anima: Pasolini sceglie Matera

Nel giugno del 1964 a Matera approdò Pier Paolo Pasolini per girare il suo Vangelo secondo Matteo. Come racconta Rocco Calandriello:

Pasolini parlando al mondo, sceglie il mondo: sceglie Matera. Trova nei Sassi i pantoni perfetti per i suoi intimi e universali disegni, creandone un un’opera indelebile nei vapori, nell’umidità dei Sassi.

Unge le pietre di pietà e di compassione universale.

I set furono allestiti in punti diversi della città: nei Sassi ce ne furono due, il primo nel Barisano, tra via Lombardi e via Fiorentini, il secondo nella location di Porta Pistoia dove, con materiale posticcio, fu ricostruita la grande porta ad arco che riproduceva l’ingresso del Cristo a Gerusalemme.  Nei vicinati dei Sassi e lungo le scalinate che risalgono il Caveoso, per questa stessa scena furono impiegate numerose comparse, intente ad agitare i rami di ulivo.

Come documentato da Domenico Notarangelo:

Proprio lì, in quel luogo, si aveva la percezione di trovarsi in una Terra Santa vera e reale […]

Si capiva perché Pasolini avesse scelto di ambientare a Matera gran parte del suo Vangelo. Lo aveva, infatti, ben raccontato al produttore Alfredo Bini attraverso un documentario che aveva realizzato in Terra Santa […] Matera, fra l’Oriente cristiano e l’Occidente romano e pagano, era un punto di incontro e fusione. Nei Sassi e sulla Murgia San Vito, Pasolini scoprì i luoghi del Vangelo, non angusti e “spelacchiati”, ma grandiosi e maestosi, biblici […] negli antichi rioni materani, dove i sottoproletari abitavano ancora, vivi e palpitanti, i visi erano quelli che Gesù aveva incontrato nelle sue peregrinazioni.

L’ultimo set riguardò la scena della crocifissione, sulla murgia al di là della gravina, fra balzi di roccia e sterpi. Un paesaggio struggente che guardava di rimpetto ai Sassi. Tra i personaggi, la Madonna fu impersonificata da Susanna Colussi, la mamma di Pasolini, di cui Notarangelo scrive:

una donna dal viso dolcissimo, un viso in scena contratto da immenso dolore, che spesso il regista, prima del ciack, ritoccava con le proprie mani. Un gesto di infinito amore.

Nel 2011, la sala consigliare del Comune di Matera fu intitolata a Pasolini. Traguardo questo raggiunto per il grande interesse, sempre mantenuto vivo, dal Circolo Culturale Pier Paolo Pasolini, sorto per iniziativa di Domenico Notarangelo e dei suoi figli Mario e Toni.

Pasolini alla macchina da presa

©Archivio Notarangelo; Pasolini alla macchina da presa

Anche Pasolini mangiò quel pane. Il ricordo di Domenico Notarangelo

[…] il Maestro desiderava incontrarmi. L’invito mi riempiva d’ orgoglio. Mi tremolavano le ginocchia per l’emozione, era di fronte a me una personcina esile e garbata, semplice, che mi mise subito a mio agio parlandomi come si parlano due amici che si incontrano per caso. I miei occhi si muovevano dai suoi occhiali neri al nodo della cravatta piccolo piccolo.

Domenico Notarangelo, pugliese di nascita, lucano di adozione, è stato per molti anni corrispondente de “L’Unità” e redattore di varie emittenti televisive. La sua passione per la fotografia e l’interesse per le tradizioni popolari del Mezzogiorno lo hanno condotto a raccogliere centinaia di documenti che costituiscono oggi uno dei più importanti archivi privati del Sud Italia. In quell’estate del ’64, come raccontato nel libro Pasolini Matera, Notarangelo si trova sorprendentemente a collaborare con Pier Paolo Pasolini. Occasione questa che gli permetterà di scattare istantanee di poesia sull’uomo Pasolini e sulla carica emozionale del suo Vangelo.

Come racconta Paride Leporace:

Notarangelo, che io preferisco chiamare Mimì, ha saputo far accadere con le sue foto la riproducibilità di una delle più grandi opere del Novecento, aggrappandola al destino e alla storia di un luogo patrimonio del Mondo. 

[…] Il fotografo di scena Angelo Novi, collaboratore storico di Pasolini e di altri grandi registi italiani, ha fissato momenti fermi della costruzione dell’opera. Sono foto del cinema vèritè. Notarangelo, appassionato di cinema, organizzatore della sicurezza di Pasolini, capo comparsa e comparsa egli stesso, nasconde la sua macchina fotografica da giornalista per documentare quello che accade.

Sentendo il peso della Storia immortala momenti storici di quella lavorazione fatta anche di pause e pensieri.

Notarangelo consegnerà alla storia l’immagine del grande intellettuale senza occhiali intento ad armeggiare con la macchina da presa o ancora immerso nei pensieri, all’orizzonte. I suoi fotogrammi sono icone destabilizzanti, da cui si evince quel racconto dell’anima, che sembra infondersi alle immagini dagli stessi pensieri e interrogativi, che lo scrittore ha donato al futuro. Il seppia, il nero e le scale di grigio creano paesaggi metafisici, in cui immergersi, fino a perdersi.

Scene e vita si confondono in quel grande mondo di tufo e pietra, disegnano l’incantevole linea urbana di Matera. La curiosità del giornalista e l’ipertrofia della testimonianza, che sarà ben coltivata nella religione del ricordo memoriale, fonderanno il mito della Matera pasoliniana, destinata a diventare città cinematografica.

Uno degli scatti rubati da Domenico Notarangelo fu scelto dal Metrò la Cinémathèque a Parigi, per pubblicizzare la mostra in onore del grande regista.

Pasolini ha creduto nell’incontaminata Matera dell’anima prima ancora che la società le riconoscesse merito e bellezza.

Pier Paolo Pasolini sul set

©Archivio Notarangelo; Pier Paolo Pasolini sul set

Un ringraziamento speciale va alla famiglia Notarangelo per aver fornito il materiale necessario al progetto di ricerca. Il testo contiene alcune delle fotografie di proprietà dell’Archivio Notarangelo, che il Ministero per i Beni Culturali ha dichiarato patrimonio di interesse nazionale.

 

Riferimenti bibliografici

  • P. Laureano, Giardini di Pietra. I Sassi di Matera e la civiltà mediterranea. Nuova edizione, Bollati Boringhieri, Torino 2018.
  • D. Notarangelo, Pasolini Matera, Edizioni Giannatelli, Matera 2014.
  • E. Caracciolo, Matera. La città dei Sassi, Ediciclo editore, Portogruaro 2014.
  • N. Bauer, C. Giacovelli, Un’ipotesi di lettura urbanistica e storica dell’antico casale di Basento, in “Riflessioni Umanesimo della Pietra”, Martina Franca, luglio 1981.
  • F. Ladiana, Lo sviluppo civile e religioso del vivere in grotta, in “Riflessioni Umanesimo della Pietra”, Martina Franca, luglio 1987.
  • A.Tavolaro, L’enigmatica Chiesa di Santa Maria di Basento, in “Riflessioni Umanesimo della Pietra”, Martina Franca, luglio 1987.
  • E. Di Salvo, Matera. Pietre preziose, in “Meridiani. Matera e Basilicata”, n.247, Anno XXXII, Rozzano, febbraio-marzo 2019.