Complesso di vignali ©courtesy Archivio Antonio Deramo

Il territorio italiano, da nord a sud, conserva tracce e preziose testimonianze della capacità umana di rigenerarsi, cooperare e affrontare le più ardue necessità. A fronte degli obiettivi stabiliti dall’Agenda ONU 2030 sulla sostenibilità, come rileggere il passato? Come riscoprire le forme di vita più semplici, rivalutandone essenzialmente la bellezza e la genuinità?

In un piccolo Comune situato a sud-est del capoluogo pugliese, Sammichele di Bari, sopravvive un antico assetto urbano, frutto di una maestria e sapienza, che sembra richiamare quell’architettura di sopravvivenza definita da Yona Friedman: “madre eccezionale dell’innovazione sociale.”

L’aspetto caratteristico di tale progettazione urbanistica è costituito dai vignali, modeste abitazioni rurali in pietra locale.

La storia dei Vignali

L’origine di questi edifici, tanto modesti quanto resistenti allo scorrere del tempo, trova la sua data simbolo nel 1609, allorquando il ricco commerciante portoghese Michele Vaaz, acquista dagli ultimi eredi della casata Acquaviva D’Aragona, il feudo di Casamassima con annesso territorio circostante la Torre Centuriona (nome della originaria struttura inglobata nell’odierno Castello Caracciolo).

Il 20 dicembre del 1609 viene redatto, a Napoli, l’atto di acquisto e dal 1615 Vaaz, divenuto Conte di quel territorio, pone le basi e le prime norme a carattere urbanistico, per la fondazione della futura Sammichele.

Veduta ovest del Castello Caracciolo

Veduta ovest del Castello Caracciolo ©courtesy Archivio Antonio Deramo

Si legge su carta che l’abitato deve sorgere attorno al Castello Centurione e, perché si realizzi, c’è bisogno di una comunità che vi si stabilisca. Michele Vaaz spedisce così i suoi uomini a Cattaro ed è lì che questi s’imbattono in una colonia di profughi Serbi del principato di Zuse, vessati dalle invasioni turche e per questo costretti a rifugiarsi sulle sponde adriatiche, dove la Repubblica di Venezia oppone ancora baluardo contro i Turchi.

Le trattative sono brevi, la colonia di Serbi accetta di buon grado il trasferimento in Italia a spese del Conte e dopo qualche giorno la truppa sbarca presso il porto di Barletta, capeggiata dal sacerdote Damiano de’ Damianis di Cattaro. Il 6 luglio 1615 una rappresentanza Serba arriva a Napoli dove il notaio Vincenzo de Troianis stila il contratto per la fondazione del nuovo borgo. La stipula prevedeva che i nuovi abitanti, di religione ortodossa, sposassero il rito cattolico, così come venne pattuita la costruzione di ben 87 dimore attorno al castello, chiamate vignali proprio perché la consuetudine sarebbe stata quella di piantare un tralcio di vite sull’uscio della porta principale.

Vignale con tralcio di vite

Vignale con tralcio di vite ©courtesy Archivio Antonio Deramo

La pianta veniva accuratamente potata all’uopo, andando così a costituire nel tempo un intreccio dei rami che offriva decoro e ombra. L’uso della vite per produrre refrigerio sugli usci assolati si è protratta nel corso del tempo, trovando ancora largo impiego nelle tipiche abitazioni in pietra di fine Ottocento e inizi Novecento.

Vignale a due piani

Vignale a due piani ©courtesy Archivio Antonio Deramo

Sull’uscio di casa: la vite tra utilità e decorazione urbana

Simbolo di verità, benessere e protezione, la pianta della vite sembra accompagnare frequentemente la tradizione mediterranea. Se innumerevoli sono le documentazioni greco-latine della presenza del suo frutto ai banchetti più succulenti e famosi, altrettanto noti sono i bassorilievi delle meravigliose basiliche romaniche e cattedrali gotiche, ospitanti episodi in cui la pianta fa da protagonista. Seguendo, infatti, la simbologia cristiana, la vite rappresenta tanto la devozione, quanto la protezione da ogni male.

Dal punto di vista simbolico, stando alle testimonianze e ai racconti del mondo contadino, anche i vignali si inseriscono in questa tradizione.

Scene di vita domestica

Scene di vita domestica © courtesy Archivio Domenico Notarangelo

Un antesignano del piano regolatore

“[…] una casa terranea a lamia di pietra viva con focolai, porte finestre et altre comodità necessarie, coperte da imbrici, quale predette case ascendono sino ad oggi al numero di ottantasette ultra la quale esso sig. Conte si obbliga a fabbricare altre tridece che siano tutte al numero di cento”

Come è possibile apprendere dal contratto di fondazione del 1615, la progettazione e costruzione delle abitazioni risponde sin da subito ad un vero e proprio piano regolatore con relativi indici. Aspetto questo fondamentale se si vuol confrontare l’esperienza di fondazione del nuovo borgo con quella di centri rurali più datati, che al momento dell’assetto cittadino disponevano già di una costellazione di piccoli agglomerati abitati, strutturalmente ed esteticamente differenti tra loro.

Scene di vita domestica

Scene di vita domestica ©courtesy Archivio Domenico Notarangelo

A spasso tra i vicoli

Ancora oggi, aggirandosi tra le stradine del centro storico, nel quartiere Casamicciola (versante est del Castello Caracciolo) o nelle vie storiche come Vico Spezzato, è possibile scorgere esemplari di antichi vignali. Alle volte ad accompagnarli c’è ancora un fragile ma resistente tralcio di vite, altre ancora a caratterizzarle permane lo stralcio di una tendina, accuratamente cucita a mano.

In via Diaz, a pochi passi dal Castello, padroneggiano vignali a due piani, dove ad ogni arco di ingresso al piano inferiore dell’abitazione, si accompagna puntualmente una scala in pietra che conduce al piano superiore. Seguendo, infatti, la regola sovrana di ogni tipica abitazione contadina, nulla doveva andare perso e pertanto quel che funzionalmente permetteva di accedere al piano superiore (la scala), fungeva a sua volta da copertura per il piano sottostante.

In Vico Spezzato ad attirare lo sguardo è un vignale sotto il cui mezz’arco di ingresso al vano inferiore è stato costruito un piccolo blocco che fungeva tanto da seduta quanto da ripiano per alimenti. Nelle stagioni calde, allorquando le attività domestiche venivano svolte per lo più all’aperto, queste rustiche aggiunte accessorie venivano impiegate per mansioni che, come ad esempio la pulitura delle fave, dentro casa avrebbero provocato un eccessivo dispendio di scarti e polvere.

Vignale di Vico Spezzato

Vignale di Vico Spezzato ©courtesy Archivio Antonio Deramo

La (ri)scoperta della povertà per un mondo sostenibile

In un saggio sempre attuale, Friedman afferma che la povertà necessiti di “essere scoperta concretamente e riscoperta periodicamente, perché essa non si manifesta allo stesso modo nelle varie epoche”. Oggi, ogni abitante del globo terrestre dovrebbe consapevolmente realizzare che vi è una povertà che vede tutti partecipi: quella derivante dall’ ormai assodata certezza che le risorse ambientali, per tempo credute illimitate, a breve non saranno più sufficienti per tutti. Ciò comporta l’abbandono di ogni possibile visione positivistica e progressista (leitmotiv nell’era dell’industrializzazione), in nome dell’autopianificazione e di una sempre più attenta salvaguardia dell’ambiente. Ripartire oggi dai piccoli borghi, forse mai travolti realmente dal vento di innovazione delle grandi città, significa riscoprire meccanismi di vita semplice che per molto tempo abbiamo accantonato in un angolo sentimentale della nostra esistenza ritenendoli pur sempre significativi, ma ormai (sor)passati.

Scene di vita domestica

Scene di vita domestica ©courtesy Archivio Francesco Cici

Nel flusso di un continuo ritorno, si sente sempre più spesso parlare di nuovi(?) progetti mirati ad introdurre esperienze cittadine di auto-produzione delle risorse (come frutta e verdura; basti pensare alle iniziative cittadine a chilometro zero) o ancora all’inserimento del verde nelle costruzioni più avanguardistiche delle grandi metropoli mondiali (il pensiero va ai meravigliosi giardini verticali), ma forse quanto andiamo progettando non è altro che un’amorevole rêverie (nell’accezione bachelardiana) di quel grande e umile mondo antico che rivive in noi. Caratterizzato dalla persistenza. Motivato da una rispettosa sapienza.

Scene di vita domestica

Scene di vita domestica ©courtesy Archivio Domenico Notarangelo

 

Riferimenti bibliografici

  • Friedman, L’architettura di sopravvivenza. Una filosofia della povertà, Bollati Boringhieri, Torino 2003.
  • Boscia, G. Trizio, L. Netti, Un territorio una cultura: dalle origini a San Michele di Bari, Sammichele di Bari, SUMA Editore, 1985.
  • Notarangelo, San Michele e Sammichele. La cultura dell’appartenenza, Schena Editore, Fasano 1999.
  • Larocca, Note storiche e sviluppo cronologico delle vicende religiose e civili di Sammichele di Bari, Arti grafiche Angelini & Pace, Locorotondo 1958.
  • Giacomo Spinelli, La Centuriona. Una torre nel territorio delle Quattro Miglia, Sammichele di Bari, Ideal Stampa, 2013.
  • Bachelard, La poetica dello spazio, Edizioni Dedalo, Bari 2006.

Le fotografie riportate sono repertorio d’archivio; Archivio Domenico Notarangelo, Archivio Francesco Cici, Archivio Antonio Deramo.